sabato 20 maggio 2017

STRUMENTO DI BARBARIE...

"Non so con che armi verrà combattuta la Terza Guerra Mondiale, so che la quarta verrà combattuta con le pietre". 

Questo noto aforisma attribuito ad Albert Einstein conosce parecchie varianti: al posto delle pietre alcuni mettono le cerbottane, altri le fionde, altri bastoni di legno. 

Non importa: molti (incluso il sottoscritto) hanno ragione di credere che se mai ci sarà una Terza Guerra Mondiale "globale" (non "a pezzi", come è di fatto combattuta ora), alla fine pochi saranno i sopravvissuti per vederne una quarta e sapere se Einstein avesse ragione o torto.

Scorrendo i media, molti invocano come imminente la guerra nucleare: politici, economisti, complottisti e millenaristi (che citano profezie di città distrutte da colonne di fuoco).


Io ricordo e rimugino spesso invece il tristissimo contributo dato dalla Chimica (divenuta "strumento di barbarie", come diceva Ettore Molinari nella prefazione alla quarta edizione del suo Trattato) alle attività belliche, con nuovi esplodenti e con aggressivi chimici sempre più letali ed efficaci.

I primi ad usare la chimica sui campi di battaglia nella Prima Guerra Mondiale furono i francesi, che lanciarono contro i tedeschi cloroacetato di etile e bromoacetone (agenti lacrimogeni): lo scopo era rallentare il nemico e non annientarlo (perlomeno non per via chimica: c'erano sempre cannoni e mitragliatrici...).


Nella Seconda Battaglia di Ypres, il 22 aprile 1915, i tedeschi, sotto la magistrale direzione di Fritz Haber, avevano usato il cloro, un asfissiante. Sul fronte italiano useranno invece il fosgene, ottenuto combinando cloro e monossido di carbonio, dal tenue odore di fieno e dagli effetti terribili.


Tra poche settimane ricorrerà il centenario della Terza Battaglia di Ypres (o battaglia di Passchendaele), che vide schierati i tedeschi da una parte e gli alleati aglo-americani dall'altra; alla fine trionfarono i soldati canadesi.


In questo contesto, i tedeschi usarono per la prima volta il gas mostarda (per il suo odore, chiamato anche iprite dal nome della località belga dove fu impiegato come vescicante), scoperto da Albert Niemann a Gottinga nel 1860 e poi perfezionato successivamente.


Nel frattempo, in un laboratorio al di là dell'oceano, Nieuwland, un sacerdote americano di origine belga, scoprirà la lewisite, trattando il cloruro di arsenico con l'acetilene; il celebre chimico Roger Adams scoprirà invece l'adamsite, un agente irritante dall'effetto starnutatorio.

La Grande Guerra volgeva al termine, ma le armi messe a punto e sperimentate sui campi di battaglia ai danni di milioni di giovani vite stroncate inutilmente, furono perfezionate e usate anche in seguito in altri contesti.


Lo studio degli insetticidi ha permesso ai chimici di trovare nuovi composti e nuovi formulati tremendi da mettere a disposizione della macchina bellica.

Fritz Haber guidò gli studi sull'acido cianidrico che assorbito su terra di diatomee dà un preparato noto come Zyklon B - utilizzato durante la Seconda Guerra Mondiale nelle camere a gas dei campi di sterminio nazisti.

Gerhard Schrader e collaboratori scopriranno il tabun, il sarin e il soman: composti appartenenti alla classe degli esteri fosforici che agiscono come inibitori dell'acetilcolinesterasi (intervengono cioé bloccando in modo irreversibile la trasmissione dell'impulso nervoso e per questo sono detti agenti nervini).  

Nel Secondo Dopoguerra, gli studi condotti dallo svedese Lars Erik Tammelin su questi composti hanno permesso di chiarire il ruolo dell'acetilcolina come neurotrasmettitore e, purtroppo, hanno portato allo sviluppo di nuovi agenti nervini (che penetrano all'interno dell'organismo attraverso la cute e non attraverso le vie respiratorie: pertanto la maschera antigas non è sufficiente a bloccarne l'azione). 

Tra gli anni Settanta e Ottanta, i chimici russi perfezionano i novichok, agenti nervini di nuova concezione (per altro non pienamente nota) che consistono in una coppia di precursori "innocui" e di facile trasporto da mescolare al momento dell'uso per ottenere molecole estremamente aggressive ed efficaci, capaci di passare attraverso i normali indumenti protettivi in dotazione ai militari della NATO.

Oltre agli aggressivi chimici, durante le guerre sono stati usati agenti incendiari: soluzioni di fosforo bianco in solfuro di carbonio oppure il celebre NAPALM che profumava di vittoria e rallegrava le mattine del capitano Kilgore in Apocalypse Now.


Nei laboratori segreti nazisti, Otto Ruff e Herbert Krugg avevano messo a punto invece la sintesi del trifluoruro di cloro, un composto interalogenico molto più aggressivo del fluoro e del cloro presi singolarmente. Il composto fu prodotto nel bunker di Falkenhagen in quantità troppo basse per un impiego bellico diretto.

Il trifluoruro di cloro reagisce in modo violento con quasi tutte le sostanze organiche ed inorganiche: incendia spontaneamente metalli (a meno che non si formi uno strato di fluoruro protettivo), leghe metalliche, materie plastiche, silicati, acqua e sali. Incendia persino il vetro. Nonostante questo, trova impiego nella purificazione dei materiali fissili e nell'industria dei semiconduttori.

Carbonizza i tessuti e la sua idrolisi dà HF + HCl: è nota l'estrema pericolosità del primo (non che il secondo sia innocente, ben s'intenda) il quale, oltre alle ustioni, danneggia irrimediabilmente il tessuto osseo trasformando il fosfato di calcio in un fluorofosfato solubile. 

Per fortuna sui campi di battaglia non è mai stato impiegato (o meglio: non si ha notizia certa che finora sia stato impiegato). Potrebbe esserlo nello scenario di un Terzo Conflitto Mondiale? Che le nubi gialle descritte dai "veggenti" (o sedicenti tali) insieme alla carne carbonizzata che cadeva dalle ossa dei soldati siano proprio di ClF3 ? Francamente spero di non scoprirlo mai.


PS: dimenticavo di citare nel post le armi biologiche... magari ci tornerò su più avanti. Magari no. 


martedì 16 maggio 2017

CIMELI SCOLASTICI...

Tra le sudate carte del liceo (poche, quelle che ho conservato) ho ritrovato la brutta copia di un "microsaggio" di letteratura latina, dedicato a Lucrezio e al suo "De rerum natura". 
Trascrivo di seguito traccia e svolgimento: non credo sia questa la forma definitiva in cui lo consegnai al professore, 18 anni or sono, ma questo mi è rimasto.

F. Hayez, Lucrezio (part.)

TRACCIA. Ragioni della poesia e poesia della ragione. Appunti sul "caso Lucrezio" alla luce della seguente affermazione di Traglia: "E' impossibile scindere in Lucrezio il poeta dal filosofo. Egli è il poeta della filosofia. E non sembri temerario parlare di poesia a proposito di un'opera filosofica, giacché si proclama che "esistenza di un problema concettuale (morale, politico o altro) non solo non è esistenza, ma anzi è esclusione di poesia" (cfr. Croce, "Poesia antica e moderna")".


SVOLGIMENTO. Il "De rerum natura" è uno dei più grandiosi canti elevati alla potenza della vita. Seguendo la strada indicata da Epicuro, il maestro tanto osannato in toccanti elogi, Lucrezio dipinge un'immagine dell'universo pulsante e luminosa.
Nell'immensità del cosmo vibrano incessantemente gli atomi, "semina" della materia, che nel loro perenne coagularsi e disgregarsi edificano la vita ovunque.
Una forza incoercibile fa si che gli atomi si aggreghino; e una potenza altrettanto grande li stacca, avviando le cose verso un disfacimento, che altro non è se non trasformazione, perenne divenire.
Consapevole di queste verità, l'uomo saggio non avrà timore della morte (che è solo l'inizio di molti altri cicli vitali) e sarà libero dal timore degli dei, supremi modelli di serenità indifferente.
Sono questi i concetti fondamentali, esposti da Lucrezio nel suo poema, di una dottrina fondata sullo studio razionale dei fenomeni celesti e terrestri e sui meccanismi che concernono lo spirito umano.
Di tale dottrina l'autore si fa divulgatore, consapevole delle difficoltà ma stimolato dall'entusiasmo di un'impresa che lo condurrà alla serenità e alla gioia dello studio e del sodalizio amichevole predicati da Epicuro.
Il poema è quindi anche un messaggio sul ruolo stesso della filosofia: non astratta elucubrazione della mente ma unica guida (attraverso l'ascesi più severa) a una felicità fatta di rinunce, di scienza, di armonia con il tutto.
L'entusiasmo con cui Lucrezio si è immerso nello studio filosofico coincide con quello legato al tentativo di esporre in versi "luminosi" l'oscura dottrina epicurea (I, 933): "obscura de re tam lucida pango carmina".
Il "miele delle muse" (I, 936 e segg.) non deve adulterare la realtà ma addolcire l'amaro farmaco dell'umanità che la guarisce da una malattia mortale - la superstizione.
Il paragone tra la poesia e il "miele" lo si ritrova già in Platone (nelle "Leggi"): "come a chi è malato e ha il fisico indebolito si tenta di dare una medicina vantaggiosa, porgendola loro in qualche dolce bevanda [...]".
Per Lucrezio, la poesia è il miele, così come "l'amara medicina" è la dottrina epicurea. Il fatto che per Lucrezio assuma un'importanza tale da equipararsi alla filosofia ha indotto alcuni critici ad affermare che egli avesse preso le distanze dall'epicureismo ufficiale, che voleva vedere nella poesia un divertimento e non certo un'ancilla philosophiae.
Già Platone riteneva imperfetta la poesia, perché copia del mondo sensibile, a sua volta copia del mondo delle idee; d'altro canto, essa era anche giudicata pericolosa per l'anima nelle passioni che suscita.
Epicuro accetta la poesia quando è un divertimento dell'anima, ma la condanna quando suscita turbamento.
In Lucrezio la ripresa di "topoi" letterari classici, l'accentuazione della priorità della sua poesia scientifica (per cui Lucrezio è debitore a Parmenide e a Empedocle), l'insistenza sul tema dell'ispirazione delle muse (ciò che Paratore ha chiamato "il topos tipicamente ellenistico dell'orgoglio dell'inventor") conferiscono ai suoi versi taluni vigorosi accenti che sembrano tradire gli ideali epicurei di equilibrio e atarassia.
La poesia di Lucrezio non "altera" però la realtà ma contribuisce alla funzione didattica della sua trattazione.
Considerata in questo senso, la poesia di Lucrezio non implica dunque quei pericoli e quelle lusinghe che spingevano Platone o lo stesso Epicuro ad ammonire contro aberrazioni e mistificazioni artistiche.
Ogni elemento del linguaggio è "calcolato", non tanto per fini estetici, quanto di comunicazione e immediatezza concettuale.
Lucrezio avverte la "novitas" della materia che tratta: come Omero in Grecia, come Ennio a Roma (al quale Lucrezio s'ispira, sebbene gli rimproveri il fatto di credere "ne li dei falsi e bugiardi" - com suggerisce Waszink), anche egli introduce per primo un genere letterario (quello del poema didascalico) fra i Latini, dando un nuovo linguaggio e nuovi contenuti al popolo romano, rappresentato dalla figura di Memnio, dedicatario della composizione.
A causa della materia trattata, il linguaggio è "duro" (anche se, in piccola parte, ciò è dovuto allo stato di opera non-finita e non-corretta), ricco di arcaismi, di volgarismi, di grecismi.
L'esametro lucreziano non regge il confronto con l'eleganza dei poeti augustei: questi ultimi curavano però l'aspetto artistico, mentre Lucrezio era più attento al fine educativo dei suoi versi. Procedendo in questa direzione, è possibile giustificare l'uso di alcuni elementi, i quali sono stati precedentemente utilizzati dalla critica di stampo romantico per evidenziare l'impoeticità del poema lucreziano, come i frequenti nessi coordinativi (praeterea, quapropter, quod superest, etc.) e le ripetizioni di versi o di gruppi di versi - che invece sottolineano la volontà didascalica di ribadire con energia i principali concetti. 
Secondo l'opinione di non pochi critici odierni, Lucrezio è innanzitutto poeta prima che filosofo e quindi è necessariamente portato a tradurre i concetti teorici in forme artistiche nate dalla fusione di libera inventiva e "topoi" tramandati dalla memoria letteraria. 
La sua Venere, invocata nei primi versi della composizione, è una creazione fantastica carica di molti valori: contemplazione razionale della natura, principio vitale che anima e popola il mondo, essa personifica il piacere -l 'edoné greca - meta ultima indicata dalla filosofia epicurea.
Non bisogna dimenticare lo scopo che infiamma l'autore del "De rerum natura": "obscura de re tam lucida pango carmine" (I, 933). Alla luce di ciò è infatti possibile non solo cogliere ma anche apprezzare la logica del discorso lucreziano.
mc, marzo 1999

lunedì 15 maggio 2017

LEGO... LEGO... LEGO...

L'altro giorno sono andato in libreria per acquistare un volume monografico sugli insetti. Il testo che cercavo non era disponibile, tuttavia non sono uscito a mani vuote: in un angolo ho notato il volume che reggo tra le mani nella seguente fotografia: "Architetto con il Lego". Una folgorazione.


Insomma, dopo aver fatto un buco nell'acqua cercando un'improbabile carriera come chimico (meglio se organico o farmaceutico), ho realizzato di potermi consolare ritornando a un gioco che mi appassionava da bambino e che ancora mi affascina.

Tempo fa avevo realizzato una "macchina" con il Technic che trasforma il moto circolare uniforme in moto armonico, tracciando la sinusoide (grafico della funzione y = sen x ).


Sempre con il Lego ho costruito un piccolo agitatore magnetico di cui mi sono servito in una certa fase di una sintesi organica (ben riuscita, tra l'altro: ho preparato un colorante azoico dalla vanillina: magari ve ne racconterò in futuro, intanto "godetevi" il video).


Qualcuno spiega anche la stechiometria con i Lego: io non sono ancora arrivato a tanto.


Per non parlare della doppia elica del DNA !!!



Buona settimana! 
mc